MONDO DELLA BIRRA
Principali notizie, storie, curiosità e aneddoti che abbracciano il mondo della BIRRA!
Dove è nata la BIRRA?
Con esattezza dove sia nata la birra non si sa.
Prendendo in considerazione le testimonianze scritte documentate e avvalendosi della paleografia, archeologia e della paleobotanica, si può affermare che la sua produzione esisteva già nel quarto millennio prima di Cristo o presso il popolo dei Sumeri nella Mesopotamia, oppure nell’ antico Egitto.
Non è detto però, che solo le popolazioni in grado di scrivere fossero capaci di fabbricare la birra, tenendo conto che la fermentazione è un fenomeno del tutto naturale e può avvenire dappertutto, purché le temperature non siano troppo rigide. Perciò questo prezioso elisir, ha la venerabile età di circa seimila anni… o più.
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BIRRA: L’origine del nome
Non è molto grande la diversità delle parole usate per riferirsi alla bevanda alcolica derivata dal malto di cereali. La relazione tra la parola usata e la storia delle tribù e dei popoli che abitavano determinate regioni è facilmente identificabile nel Vecchio Continente. Salvo qualche eccezione, i gruppi sono quattro e ognuno con una sua propria radice:
- ALE, OL, OLUT, ÖL – derivati da olum, amaro o olio.
- BEER, BIER, BIÈRE, BIRRA, BEEREH, BIIER, BIR, BIRA, BEERA – Ci sono più teorie sull’origine di questa parola. Una suggerisce che beer arrivi dal latino bibere ossia, bere. L’altra, invece, sarebbe originata dal vebo to brew, che significa “fare birra fermentate”, poiché orzo nella lingua tedesca è bewwa e il verbo brauen vuol dire “fabbricare birra”.
- CERVEJA, CERVESA, CERVEZA, SIRBISI – Nella Gallia e Roma antica, la parola usata per la bibita era cerevisia, di origine latina, presa a prestito da Ceres dea romana della fertilità, delle messi e dei campi, e vis che significa forza.
- PIVO, PIWO, PI JIU – Anch’essi derivano da piwwo, un’antica parola slava, che vuol dire “orzo”.
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Ildegarda di Bingen e il luppolo
Nel 736 si parla per la prima volta di luppolo riferendosi ad un luppoleto presso un monastero della Baviera nella regione di Hallertau. Ma solo alla fine dell’XI secolo diventò continuativamente un ingrediente sempre più insostituibile per la birra. E fu la badessa Ildegarda di Bingen (1098-1179), monaca benedettina, naturalista, mistica e visionaria, fondatrice del convento di Rupertsberg in Renania, a decantare il luppolo come un importante aromatizzante e conservante per la birra e con un’azione leggermente sedativa. Proprio per quest’ultima caratteristica, si dice sottovoce che l’abate di una famosa abbazia bavarese si lamentava che i suoi confratelli a volte cedessero alla tentazione del Maligno placando i loro istinti sessuali e peccando contro la natura. La badessa quindi suggerì all’abate e al padre erborista di aggiungere del luppolo alla birra.
LUPPOLO: (Humulus lupulus L.); pianta rampicante, dioica, appartenente alla famiglia delle Cannabaceae che produce inflorescenze molto profumate. In campo birrario su base artigianale viene usata l’infiorescenza femminile, mentre nell’industria vengono spesso usati degli estratti di luppolo che risultano molto più economici ma di inferiore qualità. Tra tante proprietà, il luppolo funge da conservante, aromatizzante e dona l’amaro alla birra.
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Guglielmo IV di Baviera e l’Editto della Purezza (Reinheitsgebot)
Correva l’anno 1516, più precisamente il 23 aprile a Ingolstadt nell’Alta Baviera, quando Guglielmo IV – Duca della Baviera – promulgò un documento sulla regolazione della produzione della birra, il famoso “Editto della Purezza” (Reinheitsgebot) appunto. In esso prevedeva l’uso dei seguenti ingrediente: Acqua, malto d’orzo e luppolo. Il lievito era ancora sconosciuto, se non una manifestazione empirica della benignità divina. L’Edito è rimasto in vigore sino al 1986, per essere sostituito dalla regolamentazione sanitaria dell’Unione Europea. Tuttora in uso, per molti questa legge è sinonimo di qualità.
Tornando a Guglielmo IV, egli era membro del casato di Wittelsbach che aveva il monopolio della coltivazione dell’orzo. A questo punto venne spontaneo “Unire l’utile al dilettevole” – sta a voi riflettere in proposito.
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Birra Trappista: la birra dei monaci
“Ora et labora” – prega e lavora racchiude la filosofia della regola dei Padri benedettini nella vita monasteriale sin dal 535. Man mano che le abbazie si sviluppavano, le birre diventarono presenze inseparabili nelle mense dei monaci. Ma per arrivare alle “Birre Trappiste” la strada è ancora lunga. Dopo l’ennesimo declino del rigore monastico, solo nel 1664 nell’abbazia normanna di Notre-Dame de la Trappe in Soligny-la-Trappe (da qui il termini Padri Trappisti), l’abate cistercense Armand Jean Le Bouthillier de Rancé introdusse una riforma all’interno dell’Ordine. In essa venne applicata la “Stretta Osservanza”, in contrapposizione alla già esistente Comune Osservanza. Ma solo dopo la morte dell’abate De Rancé, la regola fu ufficialmente convalidata nel 1705 e viene tuttora adottata dai cistercensi con il nome di trappisti. Con lo scoppio della Rivoluzione Francese nel 1790 vennero soppressi tutti i monasteri. Solo dopo la sconfitta napoleonica a Waterloo nel 1815, l’Ordine fu ristabilito e si installò in Francia. Alcuni monaci rimasero, altri andarono in Belgio, dove fondarono o ricostruirono abbazie. Nonostante ciò, la plurisecolare tradizione brassicola monastica delle birre trappiste continuò a crescere, al punto che numerose birrerie senza l’autorizzazione cercarono di sfruttare commercialmente il logo. Proprio per contrastare l’utilizzo improprio del marchio, nel 1997 i monaci di otto Abbazie trappiste presero provvedimenti e crearono l’Associazione Trappista Internazionale (ITA). Il logo è un’esagono rosso con la scritta in bianco “Authentic Trappist Product”, che può essere non solo birra, ma anche vari prodotti (formaggio, vino, distillati, ecc.). Per la birra i criteri devono essere i seguenti:
- La birra deve essere rigorosamente prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista dai monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.
- Tutta la produzione, la selezione dei processi produttivi e la direzione commerciale dipende dalla comunità monastica.
- Gli introiti della produzione di birra devono essere destinati al mantenimento dei monaci e alla beneficienza senza profitto.
Potremmo chiamare le Birre Trappiste una famiglia brassicola vera e propria e sono tanti i punti in comune tra loro. Tutte sono ad alta fermentazione, poi subiscono una rifermentazione in bottiglia, hanno una gradazione alcolica piuttosto elevata e tutte hanno una complessità olfattiva e gustativa rilevante. Per un bel po’ di tempo le Abbazie che producevano le birre trappiste secondo il disciplinare di Authentic Trappist Product erano sette (sei belghe e una olandese). Ma negli ultimi anni, sono cresciute rapidamente e oggi si arriva a 14 abbazie nel mondo che producono la birra trappista.
Austria:
Stift Engelszell (Abbazia di Engelszell) Engelhartszell
Belgio:
Achel (Abbazia di Notre-Dame de Saint-Benoît Achelse Kluis) Hamont-Achel
Chimay (Abbazia di Scourmont) Chimay.
Orval (Abbazia di Notre-Dame d’Orval) Florenville
Rochefort (Abbazia di Notre-Dame de Saint-Remy) Rochefort
Westmalle (Abbazia di Westmalle) Malle
Westvleteren (Abbazia de Saint-Sixte Sixtus) Vleteren
Francia:
Mont des Cats (Abbazia Sainte Marie du Mont des Cats) Godewaersvelde
Italia:
Tre Fontane (Abbazia delle Tre Fontane) Roma
Paesi Bassi:
La Trappe (Abbazia di Notre-Dame de Koningshoeven) Berkel-Enschot
Zundert (Abbazia Maria Toevlucht) Cidade: Zundert
Regno Unito:
Tynt Meadow (Abbazia Mount Saint Bernard) Leicestershire.
Spagna:
Cardeña (Abbazia di San Pedro de Cardeña) Burgos
Stati Uniti:
Spencer (Abbazia di Saint-Joseph) Spencer
PELLEGRINAGGIO: Il Cammino delle Abbazie Trappiste del Belgio
“Sentier GR des trappistes de Wallonie”, questo è il nome ufficiale del nuovo percorso che collega i camminatori a tre antiche abbazie: Chimay, Rochefort e Orval. Lungo circa 290 km, questo percorso è suddiviso in due tappe: La prima, misura 174 km e va dall’abbazia de Notre-Dame de Scourmon a Chimay fino all’abbazia di Notre-Dame de Saint-Rémy di Rochefort. Nella seconda tappa, invece, l’itinerario parte da Rochefort fino all’Abbazia di Notre-Dame d’Orval a Florenville e dista 116 km. Da percorre rigorosamente a piedi.
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Domozimurgo versus Homebrewer
Domozimurgo o Homebrewer? Ambedue i termini stanno ad indicare chi fa la BIRRA in casa. Capiamo meglio: domozimurgo è la persona che studia, sperimenta e applica la sua conoscenza alchemica nel mondo della fermentazione. Dunque; domo è la radice in latino di ‘casa’ e zimurgo è chi pratica la ‘zimurgia’, ossia la scienza dello sviluppo della fermentazione. Homebrewer è il termine in inglese di colui che produce la birra in casa. La definizione “domozimurgo” sta lentamente prendendo piede.
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Libri Consigliati
IL CASO ILDEGARDA: con una grande conoscenza storica, l’autore porta il lettore ad una misteriosa atmosfera per raccontare gli anni di una figura luminosa, visionaria, forte e libera, in lotta con Papi ottusi e avidi abati in pieno Medioevo. Il personaggio in questione è Ildegarda von Bingen, famosa badessa e venerata veggente, nonché colei che introdusse per la prima volta il luppolo nella fabbricazione della birra. Leggendo questa trilogia piena di suspance, il lettore si sente un po’ coinvolto anche nella costruzione dell’Abbazia di Rupertsberg nei pressi del Reno. Autore: Edgar Noske.
COLOMBANO Un Santo per l’Europa: leggendo i suoi scritti, emerge la voglia di intraprendere un viaggio nell’Alto Medioevo per una grande avventura, partendo dall’ Irlanda verso l’Inghilterra, poi in Normandia verso la Francia, la Germania, per approdare nella penisola italiana finendo il percorso a Bobbio (Piacenza). L’autore ci guida con una efficace e rara chiarezza nelle gesta di Colombano e dei suoi 12 fratelli della comunità (tra questi Gallo). E poi… non resta che recarsi a Bobbio per visitare l’Abbazia di San Colombano. Tra l’altro, la tradizione della birra abbaziale venne continuata da San Colombano nel birrificio del monastero di Bobbio. L’agiografica leggenda narra che il santo abbia fatto due miracoli con la birra all’interno dell’abbazia. Autore: Paolo Gulisano.
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